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Racconto di Alessandro Frezza

 

"Perché il Signor Gufo passa tutto quel tempo a guardare i fiori?"

"È un mistero, figlio mio, per di più, resta a fissare per ore quelli che ancora non sbocciano. È proprio strano il nostro amico gufo. Ma perché non vai lì a chiedergli cosa lo attira tanto di quei boccioli?"

"Vado, padre. Sono curioso".
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"Cosa ti occorre, piccolo tasso?"
"Signor Gufo, veramente mi chiedevo perché fissate quei fiori che oltretutto sono chiusi e non profumano".
"Oh, piccolo tasso, se lo chiede tutta la foresta, tutti mi ritengono pazzo, ed anche tu hai fatto questi pensieri".
"Ma no, io..."
" Non giustificarti, è comprensibile; ti rivelerò il motivo. Forse oggi non lo capirai, ma le mie parole agiranno come quei tarli che intramano segretamente gli alberi. Un giorno si sente un gran tonfo nella foresta. L'albero si è spezzato e nessuno conosce il perché finché non vede i disegni magici dei tarli. Quegli esserini lavoravano e nessuno se ne accorgeva".
"Volete mettermi dei tarli nella testa per farmela marcire?"
" Ma no, piccolo tasso, io voglio far marcire dei pregiudizi e dei vecchi schemi che ti portano ad apprezzare quello che tutti apprezzano, ad essere uno dei tanti animali ciarlieri che borbottano stupidaggini dall'inizio alla fine delle loro comuni vite".
" Va bene, Signor Gufo, ditemi perché guardate sempre quei boccioli".
" Ebbene, piccolo tasso, quelli non sono boccioli, ma un mistero che fa volare senza ali, che fa volare più in alto del sole. Ricordi la tua prima festa? Ti vennero fatti dei regali, vero?"
"Sì, Signor Gufo".
" E dimmi, cosa provavi i giorni precedenti a quello in cui ricevesti quelle cose che volevi?"
" Ero agitatissimo, fremevo, sentivo nelle zampe una forza incredibile, non riuscivo a stare fermo ed ero felice, veramente felice".
" Eppure non avevi ricevuto nulla, non sapevi neanche che regali avresti ricevuto, o meglio, forse lo sapevi, ma non sapevi come erano".
"Sì, immaginavo tutto il giorno di averli fra le zampe".
"E dimmi, la notte precedente al gran giorno come stavi".
"Oh, Signor gufo, non potete capire, non ho chiuso occhio".
"Eppure non avevi ancora nulla di concreto".
"Sì, è così".
" E che mi dici del gran giorno? Come è stato ricevere quei regali?"
" Bello, Signor Gufo. Ci ho giocato tutto il giorno ed anche la notte ho dormito poco per svegliarmi presto la mattina e continuare a giocare".
"E questo per quanti giorni, piccolo tasso?"
" Beh, almeno una settimana".
"Dove sono adesso quei giocattoli?"
" Li tengo sotto il letto".
"A prender polvere?"
"In effetti ci gioco poco".
"E quando hai iniziato a lasciarli sotto il letto?"
"Non ricordo. Ogni giorno che passava ci giocavo di meno e immaginavo altri giocattoli".
" Aspetta un istante, sta passando la mia gufetta, devo darle una cosa".
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"Cosa le avete dato?"
"Un sassolino di fiume che ho visto ieri pomeriggio e le ho preso questa mattina".
" È la sua festa?"
"No, piccolo tasso".
"Ed allora perché?"
" Lo faccio dal primo giorno che l'ho incontrata. Me lo consigliò un vecchio gufo molto più saggio di me".
"Non capisco".
"Non ne dubitavo. Ma dimmi, a proposito, ti ho visto parecchie volte con la figlia di Tasso Pelodritto, è da un bel po' che la frequenti, vero?"
"Sono tre primavere".
"Un bel po' di giorni...e raccontami, come fu il corteggiamento?"
"Mi piaceva molto, Signor Gufo, non ricordo il numero di foglie colorate e radici con su scritto in quale tronco cavo ci saremmo potuti incontrare un giorno che le inviavo a mezzo della ghiandaia del Vecchio Scoglio".
"La pensavi giorno e notte come quei giocattoli, eh?"
" Eh, già..."
"E quante gallerie scavavi quel periodo?"
"Acri ed acri, Signor Gufo".
"Avevi una forza smisurata e non avevi bisogno di dormire, vero?"
"Sì, era come se avessi vinto la Lotteria della Foresta".
"Bene, bene. Ma dimmi, il giorno che le hai messo il bracciale di quercia alla zampa come è stato?"
" Molto bello, Signor Gufo".
" Scommetto che nei giorni successivi hai continuato ad essere super eccitato, a mandare foglie colorate, a non dormire molto la notte".
"Sì, Signor Gufo, pensavo a tutti i tronchi cavi in cui ci potevamo incontrare".
"Ora dov'è la figlia di Tasso Pelodritto?"
" Non so, ancora non la vedo. Forse più tardi passo da lei".
"Niente foglie colorate e radici con scritto in quale tronco cavo vedervi?"
"Oh, no, non mando più le foglie, da un pezzo".
" Il tuo Amore è finito sotto il letto, come i giocattoli..."
"Come, Signor Gufo?"
"Niente, parlavo tra me e me". 
"Non mi avete che fatto domande senza nulla dirmi in merito al perché guardate quel bocciolo".
" Perché mi insegna come non far morire le cose, piccolo tasso. Tutti non aspettano altro di vedere il fiore sbocciato, ma non sanno che è proprio in quel momento che inizia la sua morte. Gli insetti lo tormentano, gli uomini lo strappano per vederlo dentro un vaso per pochi giorni, e comunque sia, ogni giorno che passa perde il suo vigore.
Nel fiore in boccio è racchiuso tutto ciò che deve ancora accadere, nel fiore in boccio vedrai quei giorni in cui non dormivi per la voglia di aprire un regalo, vedrai quella forza, quella leggerezza e quella gioia di vivere che sperimentavi senza avere vicino a te chi desideravi. 
È tutto rinchiuso lì, in quel fiore in boccio. Niente lo tocca, niente lo corrompe, niente lo fa decadere, come niente faceva decadere la tua vitalità mentre attendevi quei regali o il primo bacio con la tua sposa.
Tutto cambia e si sfalda nella foresta, piccolo tasso, ma se riesci ad impadronirti del segreto del fiore in boccio saprai come fermare la decadenza, saprai come mantenere vivo per sempre quella vibrazione che ti fa volare al di sopra del sole, degli animali e degli uomini".
"Ma come si fa, Signor Gufo?"
"Sassolino dopo sassolino, senza pensare a ciò che fanno gli altri, senza accomunarti al pensiero dei tanti, abbattendo la logica, conservando sempre in te quel turgore acerbo e folle, essendo sempre quello che non dorme la notte per inviare foglie colorate e radici con su disegnati nuovi tronchi cavi".
"Dove state andando, Signor Gufo, ho ancora bisogno di voi per capire?"
"Vado al fiume ad individuare un bel sassolino. Io non ti occorro più, ora hai un fiore per maestro".

©Alessandro Frezza

ANGOLO PER RIFLETTERE con storie che fanno bene all'anima....buona lettura

e buone riflessioni!

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La piccola pozzanghera

C'era una volta una piccola pozzanghera. Era felice di esistere e si divertiva maliziosamente quando schizzava qualcuno con l'aiuto di un'automobile. Aveva paura solo di una cosa: del sole.
"E' la morte delle pozzanghere", pensava rabbrividendo.
Un poeta che camminava con la testa sognante finì dentro alla pozzanghera con tutti e due i piedi, ma invece di arrabbiarsi fece amicizia con lei.
"Buongiorno" disse, e la pozzanghera rispose: "Buongiorno!".
"Come sei arrivata quaggiù?" chiese il poeta.
Invece di rispondere la pozzanghera raccolse tutte le sue forze e rispecchiò la volta celeste.
Parlarono a lungo del Grande Padre, la pioggia, e del fatto che la pozzanghera aveva tanta paura del sole.
Il buon poeta volle farle passare quella paura. Le parlò dell'incredibile vastità del mare, del guizzare dei pesci e della gioia delle onde. Le raccontò anche che il mare era la patria e la madre di tutte le pozzanghere del mondo e che la vita della terra e del mare era dovuta al sole. Anche la vita delle pozzanghere.
La sera abbracciò il poeta e la pozzanghera ancora assorti nel loro muto dialogo.
Alcuni giorni dopo, il poeta tornò dalla sua umida amica.
La trovò che danzava nell'aria alla calda luce del sole.
La pozzanghera spiegò: "Grazie a te ho capito. Quando il sole mi ha avvolto con la sua tenerezza, non ho più avuto paura. Mi sono lasciata prendere e ora parto sulle rotte delle oche selvatiche che mi indicano la via verso il mare. Arrivederci e non mi dimenticare".

- Bruno Ferrero

 

Il dono del fuoco

Un pezzo di carbone si sentiva sporco, brutto e inutile. Decise di diventare bianco e levigato.
Provò diversi prodotti chimici e varie operazioni chirurgiche. Niente da fare.
"C'è soltanto il fuoco", gli dissero.
Il pezzo di carbone si buttò nel fuoco. Divenne una creatura luminosa, splendente, calda, irradiante, magnifica.
"Ti stai consumando", gli dissero.
"Ma dono luce e calore", rispose il pezzo di carbone, finalmente felice.

- Bruno Ferrero

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Una nuvoletta in viaggio

 

In un giorno d'Autunno, il Vento soffiava dispettoso facendo volare le foglie.
Una piccola Nuvoletta che stava passeggiando lì vicino, gli disse: "Ciao Vento, posso giocare con te?".
Il Vento allora chiese: "Cosa potresti fare? Sai soffiare?". La nuvoletta ci provò: "...fff... fff... no non sono capace", disse sconsolata. Allora il Vento le rispose: "Tu non sei capace di soffiare come me, vattene via!".
E la Nuvoletta se ne andò triste.
Più avanti incontrò l'Estate e il Sole splendeva luminoso nel cielo.
Allora si avvicinò e disse: "Ciao Sole, posso giocare con te?".
Ma il Sole seccato le rispose: "Non vedi che ti sei messa troppo vicina a me? Mi stai oscurando! Vattene via, tu non sei capace di splendere come me e nemmeno di creare calore!".
E la Nuvoletta se ne andò sempre più triste.
Poco più in là c'era l'Inverno e la neve cadeva leggera, così la Nuvoletta si fermò e chiese: "Ciao Neve, posso giocare con te?". La Neve la squadrò dalla testa ai piedi e sussurrò: "Ma tu sei capace di far nevicare?".
La nuvoletta ci provò e si sforzò talmente tanto che da grigia divenne nera, ma di Neve niente. "No, non credo di esserne capace", brontolò la nuvoletta emettendo un tuono. "Shhh!", la zittì la Neve, "allora non puoi aiutarmi.
Io cado silenziosa, tu sei troppo rumorosa! Tu non sei capace di cadere leggera e coprire il paesaggio come me, vattene via!". E la Nuvoletta se ne andò ancora più triste.
Ormai era sconsolata, quando trovò la Primavera e sentì qualcuno piangere.
Si chinò e vide un piccolo Fiorellino che singhiozzava disperato, allora si avvicinò e gli chiese il perché di tanta tristezza.
E il Fiorellino rispose: "Ho sete, sto per morire, puoi aiutarmi?". "Non lo so, io non so fare quasi niente.., non so soffiare come il vento, non so splendere come il sole, non so cadere leggera come la neve, e nessuno mi vuole…".
Così dicendo la Nuvoletta si mise a piangere e le sue lacrime diventarono tante gocce di pioggia, che dissetarono il Fiorellino. Da quel giorno la Nuvoletta e il Fiorellino diventarono molto amici e capirono di aver bisogno l'uno dell'altra per essere felici.

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Durante le vacanze, un uomo era uscito a passeggio in una foresta che si estendeva ai margini del villaggio dove si trovava. Errò per un paio d'ore e si perse. Girò a lungo nel tentativo di trovare la strada per tornare al villaggio, provò tutti i sentieri, ma nessuno lo portava fuori dalla foresta.
Improvvisamente si imbatté in un'altra persona che come lui stava camminando nella foresta e gridò: «Grazie a Dio c'è un altro essere umano. Mi può indicare la strada per tornare in paese?».
L'altro uomo gli rispose: «No, purtroppo anch'io mi sono perso. Ma c'è un modo per poterci essere d'aiuto: è quello di dirci quali sentieri abbiamo già provato inutilmente. Questo ci aiuterà a trovare quello che ci porterà fuori».

Un giorno, in un bosco molto frequentato scoppiò un incendio. Tutti fuggirono, presi dal panico. Rimasero soltanto un cieco e uno zoppo. In preda alla paura, il cieco si stava dirigendo proprio verso il fronte dell'incendio. «Non di là!» gli gridò lo zoppo. «Finirai nel fuoco!».
«Da che parte, allora?» chiese il cieco. «Io posso indicarti la strada» rispose lo zoppo «ma non posso correre. Se tu mi prendi sulle tue spalle, potremmo scappare tutti e due molto più in fretta e metterci al sicuro».
Il cieco seguì il consiglio dello zoppo. E i due si salvarono insieme.

Se sapessimo mettere insieme le nostre esperienze, le nostre speranze e le nostre delusioni, le nostre ferite e le nostre conquiste, ci potremmo molto facilmente salvare tutti.

- Bruno Ferrero


Quattro principi reali erano alla ricerca di una specializzazione in cui non avessero nessuno alla pari. Si dissero l'un l'altro: "Perlustriaino la terra e impariamo la scienza massima".
Così, dopo aver concordato un luogo per un appuntamento futuro, i quattro fratelli si mossero, ciascuno in una direzione diversa.
Il tempo passò.
Dopo un anno, un mese e un giorno, i quattro fratelli si incontrarono nel luogo stabilito e si chiesero l'un l'altro cosa avessero imparato.
"Io ho imparato una scienza", disse il primo, "che mi rende possibile, anche se ho solo un pezzetto d'osso di un essere vivente, di creare subito la carne che lo ricopre".
"Io", disse il secondo, "so come far crescere la pelle di quell'essere e anche il pelo, se quell'osso è ricoperto di carne".
Il terzo disse: "Io sono capace di creare le membra, se ho la carne, la pelle e la pelliccia".
"E io", concluse il quarto, "so come dar vita a quella creatura se la sua forma è completa di membra".
A questo punto, i quattro fratelli andarono nella giungla per trovare un pezzo d'osso che dimostrasse la loro specialità.
Non fu difficile. Fatti pochi passi, trovarono un osso e lo raccolsero. Non si chiesero a che razza di animale fosse appartenuto. Erano così presi dalla loro scienza che non ci pensarono neppure.
Uno aggiunse carne all'osso, il secondo creò la pelle e il pelo, il terzo lo completò con membra adatte e il quarto diede vita ad ... un leone.
Scuotendo la folta criniera, la belva si levò con fauci minacciose, denti aguzzi e mascelle spietate e balzò sui suoi creatori.
Li uccise tutti e svanì soddisfatta nella giungla.

L'uomo ha dimostrato di possedere un enorme potere creativo. Ma questo potere contiene il potenziale dell'autodistruzione. Vasti e nuovi complessi industriali permettono all'uomo di produrre in un'ora ciò per cui, nel passato, doveva faticare anni e anni ma le stesse industrie hanno alterato l'equilibrio ecologico e attraverso l'aria, il rumore e l'inquinamento hanno contaminato il suo ambiente.
Egli viaggia in macchina, guarda la televisione, decide con il computer, ma ha perduto la capacità di dominare gli strumenti che usa. Ha una enorme abbondanza di comodità materiali, ma brancola in cerca di direzione e chiede significati e obiettivi. Sa benissimo che se sbaglia le scelte, la sua scienza può distruggerlo. Nello stesso tempo sente che ha messo in moto qualcosa che gli sfugge. E se non riesce a dominarlo, sarà solo colpa sua.
Afferma un saggio proverbio cinese: "Non è il vino che ubriaca l'uomo. E' l'uomo che si ubriaca".

- Bruno Ferrero 

Una donna, che non aveva grandi risorse economiche, trovò un uovo. Tutta felice, chiamò il marito e i figli e disse:
"Tutte le nostre preoccupazioni sono finite. Guardate un po': ho trovato un uovo! Noi non lo mangeremo, ma lo porteremo al nostro vicino perché lo faccia covare dalla sua chioccia. Così presto avremo un pulcino, che diventerà una gallina. Noi naturalmente non mangeremo la gallina, ma le faremo deporre molte uova, e dalle uova avremo molte altre galline, che faranno altre uova. Così avremo tante galline e tante uova. Noi non mangeremo né galline né uova, ma le venderemo e ci compreremo una vitellina. Alleveremo la vitellina e la faremo diventare una mucca. La mucca ci darà altri vitelli, finché avremo una bella mandria. Venderemo la mandria e ci compreremo un campo, poi venderemo e compreremo, compreremo e venderemo."
Mentre parlava, la donna gesticolava. L'uovo le scivolò di mano e si spiaccicò per terra.

-  Bruno Ferrero 

In una giornata estiva molto calda, un bracciante agricolo ricevette l’ordine di vangare il giardino del suo padrone. Si mise al lavoro di malavoglia, e cominciò ad inveire contro Adamo che, a suo parere, era l’unico responsabile di ogni sfruttamento.
Le sue bestemmie e imprecazioni giunsero all’orecchio del padrone. Il quale gli si avvicinò e gli disse: «Ma perché inveisci contro Adamo? Scommetto che al suo posto avresti fatto la stessa cosa».
«No di certo», rispose il bracciante, «io avrei resistito alla tentazione!».
«Vedremo!» disse il padrone e lo invitò a pranzo.
All’ora stabilita, il badilante si presentò in casa del padrone e questi lo introdusse in una saletta dove c’era una tavola imbandita con ogni ben di Dio.
«Puoi mangiare tutto quanto vuoi» disse l’uomo al suo dipendente. «Soltanto la zuppiera coperta al centro della tavola non la devi toccare finché non torno».
Il badilante non aspettò neppure un minuto: si sedette al tavolo e con il suo formidabile appetito cominciò ad assaggiare una dopo l’altra le leccornie che gli venivano servite. Alla fine il suo sguardo fu magnetizzato dalla zuppiera.
La curiosità lo fece quasi ammattire, tanto che alla fine non resistette più e, con la massima circospezione, sollevò appena appena il coperchio che copriva la zuppiera. Saltò fuori un sorcio. Il badilante fece l’atto di acciuffarlo, ma il topo gli sgusciò di mano. Iniziò la caccia, mentre il giovane rovesciava tavoli e sedie. Il gran baccano richiamò il padrone.
«Hai visto?» chiese, e ridendo lo minacciò:
«Al tuo posto, in futuro, non imprecherei più a voce alta contro Adamo e il suo errore!».

«Ma io no! Io sono diverso! Io non mi sarei certamente comportato così!».
«Quanto sei stato stupido! Dovevi fare così e così…».
Quanti modi per puntare il dito contro gli altri. Ma chi punta il dito contro un altro ne punta tre contro se stesso.
Un discepolo parlava con disprezzo dell’avidità e della violenza della gente «fuori nel mondo».
Il maestro disse: «Mi ricordi quel lupo che stava attraversando una fase di bontà. Quando vide un gatto che dava la caccia a un topo, si girò verso un lupo suo compagno e disse indignato: "Non sarebbe ora che qualcuno facesse qualcosa per fermare questi teppisti?"».

- Bruno Ferrero,

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Lo scoiattolo Bernardo

 

C'era una volta, nel parco di un vecchio castello, ormai diroccato, una grande, antica e generosa quercia. Proprio nella quercia, alla biforcazione di due rami, cinque allegri scoiattoli striati avevano costruito la loro casa.
La casa degli scoiattoli aveva sette capaci magazzini, spalancati come bocche di uccellini sempre affamati. Per tutta l'estate, gli scoiattoli non facevano che correre, giorno e notte, per riempirli di cibarie.
Sapevano che l'inverno era lungo e crudele e dovevano affrontarlo con la dispensa piena, se volevano arrivare a vedere la primavera. Gli scoiattoli non si riposavano mai: si davano da fare freneticamente per raccogliere ed ammassare grano e noci, ghiande e bacche.
Lavoravano tutti. Tutti, tranne Bernardo.
Bernardo era uno scoiattolo dal musetto intelligente, le orecchie da filosofo, il pelame lucente e una bella coda folta. Ma mentre i suoi compagni correvano avanti e indietro trafelati con le zampine cariche di provviste, se ne stava assorto con il muso all'aria e gli occhi chiusi. "Bernardo, perché non lavori?", chiesero gli scoiattoli.
"Come, non lavoro", rispose Bernardo un po' offeso.
"Sto raccogliendo i raggi del sole per i gelidi giorni d'inverno".
E quando videro Bernardo seduto su una grossa pietra, gli occhi fissi sul prato, domandarono: "E ora, Bernardo, che fai?".
"Raccolgo i colori" rispose Bernardo con semplicità. "L'inverno è così grigio".
Quattro scoiattolini correvano e correvano, sempre più affannati.
I magazzini si riempivano di nocciole e bacche e squisitezze. Bernardo, invece, se ne stava accoccolato all'ombra di una pianta.
"Stai sognando, Bernardo?", gli chiesero con tono di rimprovero.
Bernardo rispose: "Oh, no! Raccolgo parole. Le giornate d'inverno sono tante e sono lunghe. Rimarremo senza nulla da dirci".
Venne l'inverno e quando cadde la prima neve, i cinque scoiattolini si rifugiarono nella loro tana dentro la grande quercia. I primi giorni furono pieni di felicità.
Gli scoiattolini facevano una gran baldoria, mentre fuori fischiava il vento gelido. Suonavano le nacchere con i gusci di noce, cantavano e ballavano. E prima di dormire con il pancino ben pieno si divertivano a raccontare storielle divertenti sugli allocchi allocchiti e sulle volpi rimbambite. Ma, a poco a poco, consumarono gran parte delle provviste. I magazzini si vuotarono uno dopo l'altro, finirono le nocciole, poi le ghiande (anche quelle amare), poi le bacche. Rimasero solo le radici meno tenere. Nella tana si gelava e nessuno aveva più voglia di chiacchierare.
Improvvisamente si ricordarono dello strano raccolto di Bernardo. Del sole, dei colori, delle parole.
"E le tue provviste, Bernardo?", chiesero.
Bernardo si arrampicò su un grosso sasso e cominciò a parlare: "Chiudete gli occhi. Ora sentite i caldi, dorati raggi del sole che si posano sulla vostra pelliccia; sono lucenti, giocano con le foglie, sono colate d'oro...". E mentre Bernardo parlava, i quattro scoiattolini cominciarono a sentirsi più caldi. Che magia era mai quella?
"E i colori, Bernardo?", chiesero ansiosamente. "Chiudete gli occhi". E quando parlò dell'azzurro dei fiordalisi, dei papaveri rossi nel frumento giallo, delle foglioline verdi dell'edera, videro i colori come se avessero tanti piccoli campicelli in testa.
"E le parole, Bernardo?". Bernardo si schiarì la gola, aspettò un attimo, e poi, come da un palcoscenico, disse: "Nascosto nella corteccia di un albero, nel bel mezzo di una foresta meravigliosa, vive uno scoiattolo dal pelo rosso, lo sguardo brillante e la coda a pennacchio. Questo straordinario scoiattoletto porta sul capo una corona di noci. È un genio: possiede certi poteri e conosce molti segreti.
Quando un coniglietto è ferito da un cacciatore, è il genio scoiattolo che dice qual è la pianta utile per guarire la ferita.
Quando un uccellino si rompe un'ala è il genio scoiattolo che gli applica un supporto di sottili aghi di pino perché possa volare ancora.
Ma la cosa che gli riesce meglio è guarire i cuori malati di tristezza e di paura. "Ci vogliono tante coccole, per vivere", dice il genio scoiattolo, "e tanta tenerezza. Perché tutte le creature del bosco sono come i fiorellini che appassiscono se non sono baciati dai raggi di sole. Quando un animaletto è triste, io faccio il raggio di sole. E lui riapre i petali del suo cuore".
Quando Bernardo tacque, i quattro scoiattolini applaudirono e gridarono: "Bernardo, sei un poeta".
Bernardo arrossì, si inchinò e disse modestamente: "Lo so, cari musetti".

- Bruno Ferrero

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